In difesa dell’Astrologia: il velo fatto di stelle

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[Versione riveduta, corretta ed estesa di un post apparso originariamente su Facebook in data 23/12/2021]

Post lungo e per certi versi anche atteso: mi sono presa qualche giorno di tempo, rispetto ai post dell’amica Loredana Lipperini [che ha scritto anche un pregevole articolo su La Stampa], per valutare se avessi veramente voglia di dire la mia sulla percezione dell’astrologia nella nostra cultura o se fosse solo una perdita di tempo e risorse (mie e vostre).
Questo perché in epoca moderna (e poi vi spiegherò a grandi linee perché) lo schieramento su certi temi è netto e quindi, come accade su qualsiasi tema che tocchi una credenza/fede alla base, non ci sono mezze misure e la guerriglia è tra chi è senza ombra di dubbio a favore e chi è senza mezzi termini contro. La guerra tra fan e detrattori dell’astrologia, e ancor prima tra astrologi e scienziati, prende forma dallo scontro tra due modi opposti di concepire il mondo (perché è di questo che si tratta, di concezione del mondo): in maniera razionale e in maniera “irrazionale”, termine che metto doverosamente tra virgolette perché in questa formulazione esiste solo perché contrapposto ed escluso da quello che è concesso dai sistemi di pensiero imperanti.
Avessi usato “eretico”, “blasfemo”, “superstizioso”, “sciocco” sarebbe andato ugualmente bene: sempre di qualcosa di extra-ecclesia si tratta.

Dell’irrazionale ne dovremmo parlare a lungo, partendo quindi proprio dal termine (utilizzato in senso dispregiativo) dato che esso non definisce in realtà nulla, ma è semmai un calderone concettuale all’interno del quale trova posto qualsiasi pratica metafisica o extra-ratio (o extra metodo scientifico) e che mette sullo stesso piano Filosofi, inteso nel senso più ampio del termine (ovvero di chi ama la conoscenza), e ignoranti (non come insulto, ma nel senso proprio di chi è, magari provvisoriamente, privo di conoscenze e competenze).
Da quando l’astrologia ha ripreso vita, dopo secoli di oblio post rivoluzione scientifica e post positivismo, gli sforzi di chi si è interessato all’astrologia e ne ha fatto oggetto di studio e pratica, sono stati visti come una condizione penosa di regressione ad una concezione del mondo infantile, intellettualmente arretrata o, peggio ancora, come truffaldini e ciarlataneschi.
Le ragioni storiche, e anche filosofiche, di questo orientamento sono state sviscerate da autori e autrici ben più competenti di me (ai quali io rimando sempre, ogni qualvolta il discorso scivoli verso frasi fatte di uno schieramento o dell’altro) e, sebbene l’obiettivo appaia essere quello di liberare l’umanità dalla piaga della superstizione, in realtà quello che viene attuata in epoca moderna dai controllori del pensabile e credibile è una forma di censura.

Una descrizione del mondo e della realtà

Come scrive anche lo storico culturale Richard Tarnas, con l’evoluzione dell’umanità e delle culture si è giunti ad una progressiva distinzione, nella percezione del mondo, tra soggetto e oggetto partendo dalla predisposizione innata dell’Homo Sapiens volta alla progettazione e non solo alla reazione di fronte alla risoluzione dei problemi. A differenza di un’epoca pre-logica, nella quale il soggetto era passivo di fronte all’esistenza, i primi sistemi volti alla manipolazione e controllo della natura (dei quali fa parte anche l’astrologia, guarda un po’) sono emersi dalla necessità di differenziazione:

“Dai tempi di Bacone e Cartesio, Hobbes e Locke, più pervasivamente nel periodo successivo all’Illuminismo, la conoscenza moderna si è gradualmente trasformata al punto che il mondo non è più visto come un luogo di significati e scopi determinati, come avveniva non solo nella immemorabile visione primitiva, ma anche per gli antichi greci, gli scolastici medievali e gli umanisti del Rinascimento. Con la piena ascesa del pensiero moderno, il mondo non è più informato da poteri numinosi, dei e dee, idee archetipiche o sacri fini. (…) Al contrario, esso è considerato un territorio neutrale di fatti contingenti e mezzi potenziali per i nostri fini secolari.secondo la celebre definizione di Max Weber all’inizio del novecento, il mondo moderno è dis-incantato (entzaubert)”. (Richard Tarnas)

Ma ancor prima si esprime Carl Gustav Jung, nel suo “Il problema fondamentale della psicologia contemporanea”:

“Tutto il medioevo e così il mondo antico, e in genere l’umanità intera fin dalle sue origini, era partita dalla convinzione che esistesse un’anima sostanziale: solo alla metà del XIX secolo si venne costituendo una psicologia senza anima (…) Tutto ciò che non poteva essere veduto con gli occhi o toccato con le mani apparve incerto, e anzi fu messo in dubbio con sospetto di metafisico: “scientifico”, e quindi senz’altro accettato, rimaneva solo ciò a cui si poteva riconoscere il carattere materiale o poteva essere ricondotto a cause percepibili con i nostri sensi.”.

Secondo il linguaggio astrologico questo possiamo vederlo come il passaggio, a livello di coscienza (personale o collettiva poco importa) dal piano della Luna, legato alle emozioni e participation mystique con la realtà e il mondo, a quello del Sole, che ha direzione individuativa e di autonomia. Il che, ovviamente, non è certo un male.
Il problema nasce quando la direzione giusta viene alimentata, nell’ombra e nell’inconsapevolezza, da emozioni e bisogni che invece di essere riconosciuti come legittimi sono rimossi e condannati come vergognosi.

Questo è evidente ogni qualvolta qualcuno dichiara di “credere” all’astrologia e non si sa perché, questo debba comportare una esclusione del pensiero e metodo scientifico. Credi all’astrologia e quindi non credi alla scienza (sì, di fondo c’è sempre una credenza): a seconda del fondamentalismo e dei bisogni nascosti e repressi delle persone coinvolte nella discussione, si passerà dai risolini di sufficienza alle vere e proprie prese per i fondelli (e questo sarebbe sufficiente a rendersi conto di quale sia il livello sul quale avviene realmente la discussione).

Ora, questo non significa ovviamente che io sia favorevole alla speculazione senza regole per rendere reale tutto ciò che è pensabile dato che questo può condurre alla perdita di contatto con la realtà sociale, ma quello che ho sempre trovato estremamente interessante sono gli arrocchi su posizioni che vengono date per migliori rispetto ad altre e sulla pratica, tutt’altro che moderna, di ridicolizzazione e svilire fedi/credenze/convinzioni allo scopo di redimere e sostituirle con quelle ritenute migliori. Questa è sempre stata, nella storia dell’umanità, lo strumento di conversione principe, il metodo utilizzato per convincere i più a migrare verso credenze più “mature” e meno superstiziose: un esempio macroscopico è stata l’operazione compiuta dal Cristianesimo per soppiantare le credenze pagane che sono state definite, all’epoca, soddisfacenti solo per le menti sciocche, infantili, contadine. Il concetto di fato/destino è stato sostituito nel tempo con la volontà inconoscibile di Dio e, al massimo, con l’intervento della Provvedenza.  Ma questo è un discorso molto lungo che non posso, per questioni di spazio e luogo, affrontare qui.

L’argomentazione di Loredana Lipperini (che vi invito a cercare e leggere) non aveva come punto focale tanto la pratica astrologica, ma verteva su un discorso più ampio, su ciò che è permesso “pensare” (e ancor più… dire). E a tal proposito aggiungo che il sociologo francese Michel Maffesoli scrive, nei suoi testi, che si tratta dell’imposizione di una morale razionalista che è proprio quella che stiamo vivendo e che relega chi crede all’astrologia tra gli sciocchi e i superstiziosi alla ricerca di palliativi per l’angoscia della vita. A riprova che si tratta di una imposizione di una morale è la sensazione di disagio, o anche di vergogna, che proviamo ogni qualvolta dichiariamo di leggere l’Oroscopo o anche di essere andati da una astrologa.

Ed è in questo modo che vorrei replicare: non difenderò l’astrologia, non cercherò di fare l’avvocato della cause perse (rischiando di diventare velocemente imputato) dato che ritengo che non ci sia nulla da difendere o da condannare se non (per chi vuole farlo) la condotta di alcune persone.

L’astrologia esiste.

Facciamocene una ragione e cerchiamo, semmai, di capire perché e come essa stia evolvendo assieme alla mente umana e alla ricerca di ordine e senso in questi tempi bui e che, anche se non derivasse da una reale influenza dei pianeti e delle stelle, sarebbe comunque testimonianza di una struttura di pensiero complessa e ricca che val la pena indagare. 

Resisto anche alla tentazione, come faccio puntualmente ogni fine d’anno quando le schiere di scientisti si sollevano per ribadire l’ovvio, di dichiarare di fronte al processo pubblico, e alla pubblica attenzione, che l’astrologia non è scienza.
Ma va? Che l’astrologia non risponda bene ad alcune misurazioni e alla statistica (o meglio, ad alcuni test statistici) e che quindi rifugga al principio di falsificabilità è evidente, come avviene per tutti i casi singoli.
Quindi… Ognuno è libero di pensarla come vuole e finché non si arriva all’offesa dalla rilevanza legale, per me ogni opinione è legittima e alcune volte (spesso, in realtà, se non mi trovo ad avere a che fare con credenze aprioristiche) anche stimolante.

E il metodo scientifico?

Il problema non è quindi il metodo scientifico, che io difenderò sempre come prezioso sistema di indagine della realtà e grande conseguimento della civiltà, ma ciò che muove gli animi (o per dirla in maniera più erudita, con la Weltanschaung, la visione del mondo) di chi ha fatto e fa sua la crociata contro l’astrologia (ma anche la magia e tutto l’esoterismo e la metafisica) a cui stanno iniziando a contrapporsi coloro che portano avanti la crociata contro la scienza.

Sapete a cosa ci ha condotto tutto ciò? Alla coltivazione nell’ombra di superstizioni e visioni fatalistiche e deliranti che, venuti meno gli argini e le sicurezze che la scienza ha fornito per quasi 4 secoli, sono scoppiate come bubboni pestilenziali. Con il crescere della delusione dovuta ad un sistema collettivo che sta collassando, una promessa di crescita e progresso continui, nel momento in cui l’umanità (il lunare, per dirla in termini ermetici), si è trovata a dover fare i conti con le angosce di sempre… persa la fiducia nelle autorità, religiose o scientifiche poco importa, dove troverà rifugio?
Nell’istinto.
Accade sempre.
È naturale: butta male? Ecco che si attivano le parti più antiche del nostro cervello. Si bypassa provvisoriamente il pensiero critico, che ha deluso perché non ha arginato le angosce, e si torna al “lotta o fuggi”. E in un baleno si butta via il meglio sia del pensiero logico-razionale che di quello ispirato/mistico cadendo in un estremo o nell’altro.

Qual è il comune denominatore ad entrambi gli schieramenti (ma lo vediamo in qualsiasi polarizzazione)?
L’emozione sotterranea che, se si costella in un complesso, sfocia in una necessità impellente di definire il mondo e la realtà secondo le proprie credenze, anche quelle più fantasiose o terrificanti.

A tal riguardo è molto interessante ciò che scrive Marie-Louise von Franz nel suo testo “Divinazione e Sincronicità: psicologia delle coincidenze significative”:

“Il dottor Jung (…) ha sempre detto che se abbiamo un cumulo di pietre, possiamo stabilire con assoluta accuratezza statistica la loro dimensione media; ma se volessimo raccogliere una pietra che sia esattamente di quella dimensione, ci troveremo in grande difficoltà. (…) Questa astrazione si è rivelata molto utile e ciò è una delle ragioni per cui la gente ci crede, ma tale ragione non esaurisce tutta la questione.  (…) La maggior parte delle persone crede – e si tratta di una convinzione emotiva – che la verità statistica sia la verità. (…) Ma cos’è che causa questa emozione, perché non può essere messa in discussione, perché chi ci crede non ne coglie l’ovvia erroneità? (…) All’inizio mi limitavo a irritarmi con simili scienziati, ma poi mi sono ricordata che sono una psicologa perciò avrei fatto meglio a vedere le ragioni per cui essi sono così emotivamente legati all’idea che il calcolo delle probabilità la statistica siano la verità è che non ve ne sia un’altra. Andando a ritroso, e facendo attenzione all’origine, si vede che dietro questa credenza vi è un archetipo. Se non si riesce a discutere qualcosa in modo distaccato e onestamente relativo e perché si è influenzati da un archetipo.”

L’ovvia constatazione che l’astrologia non sia scientifica e che non regga la prova della falsificabilità, intendendo con questo affermare che essa, stringi stringi, non ha motivo di esistere e debba essere combattuta come imbarazzante residuo del pensiero magico infantile… questo sì che è interessante.

Infantile. Già.

Quando ho deciso, anni fa, di intensificare i miei studi e di farne una professione ero ben conscia che sarei entrata di diritto tra gli “emarginati” ed eretici a cui si cerca di appioppare qualche etichetta per inserirli in una categoria da attaccare. E se esistono gli scienziati e le persone razionali dotate di “buon senso” (quale sia questo “senso” ce lo siano mai chiesti?), ovviamente sarei rientrata tra gli irrazionali, a voler essere ottimista, nonostante il mio sia sempre stato un soggiorno a cavallo tra due mondi, in tensione tra una funzione dominante e la seduzione di quella inferiore, pensiero e sentimento.

Ho dovuto quindi anche far pace con la consapevolezza che sarei stata sempre a cavallo tra questi due mondi, tra due tensioni ugualmente presenti in me: da una parte l’adesione alla realtà sociale, fatta di codici e assunti e il mio apprezzare la linearità e il pensiero logico, e dall’altra la fedeltà alla realtà dell’Anima (per dirla in maniera poetica) fatta di numeri, immagini, simboli, miti, ovvero la realtà della psiche.

Gilbert Durand lo mette nero su bianco quando parla della funzione sociale di marginalizzazione dell’immaginario:

“La tensione tra due insiemi immaginari (fatti di simboli, miti, leggende, amplificazioni leggendarie, eccetera) funziona così: l’uno (il momentaneamente dominante) si istituzionalizza, si logicizza in codici, ruoli, presenze ufficiali, e alla lunga si svuota dinamismo mitogenico; l’altro escluso, marginalizzato, “inselvatichito”, vede al contrario il suo messaggio mitogenico amplificarsi nella misura in cui le istituzioni perdono il loro interesse immaginario. Tale tensione può essere rappresentata tramite frecce semicircolari, ove la profondità di ciascuna è irregolare e inversa all’altra: la freccia dell’istituzionalizzato, partita da un largo solco di entusiasmo, di interesse immaginario, si affievolisce mentre la freccia dell’emarginato si raccoglie nel corso del tempo sociale in un potente serbatoio, il mito. O, per parlare come Gianbattista Vico, quando un linguaggio sociale si istituzionalizza in “verità” (verum) perde la sua pregnanza (Cassirer) simbolica, si sottrae a ciò che radica il mitico Einfühlung, in ciò che G. Santayama chiama la “fede animale”, il certum di Vico, o ancora, per citare un grande poeta lusitano, Antonio Ramos Rosa, quel “sapore primo” dell’immediatezza del mitico.”.

Quello che per me è diventato via via più interessante osservare non è tanto se l’astrologia funzioni o meno (questo era più pressante all’inizio del mio percorso, quando confondevo la validazione sociale, manifestazione dell’ecclesia della scienza, con il permesso di esistere e faticavo a sopportare il ruolo di emarginazione che il dedicarsi all’immaginario e all’irrazionale comporta) quanto capire come l’umanità sia passata da una percezione del mondo come “fatale” ad un dominio e centralità dell’io che controlla, attraverso il Pensiero, l’esistenza.

Detto altrimenti, di come siamo passati dalla percezione di divinità capricciose che impongono il loro volere sull’essere umano all’idea e consapevolezza che la realtà sia osservabile, misurabile, prevedibile: dall’impotenza alla potenza. E sì, ritengo che questo passaggio sia qualcosa di meraviglioso, che la rivoluzione scientifica, il cui germe d’intento è nobile, sia stata (e sia, se ci diamo una svegliata) una via di liberazione dall’angoscia dell’immutabilità e dalla schiavitù del fato che si può solo subire.

In tutto questo l’astrologia, in quanto frutto del pensiero umano, è un sistema che si è evoluto anch’esso nel tempo e che ha perso parte della sua caratteristica di predire eventi caratterizzati da ineluttabilità e immodificabilità. Alla previsione radicale (a cui è più interessata la scienza, in realtà) stiamo sostituendo la prevedibilità archetipica nel nostro tentativo di rintracciare uno schema alla base. A mano a mano che l’essere umano conosce se stesso e il proprio funzionamento, il destino diventa sempre più l’oggetto da scoprire e fulcro di un gioco “rituale” condotto con quelli che un tempo chiamavamo dei, dio, dea e che ora stiamo riscoprendo attraverso il Sè, nella manifestazione archetipica, e l’inconscio.

Di tutto il percepibile, le scienze “dure” hanno preferito occuparsi (come scrive magistralmente Richard Tarnas nel suo “L’ardore della mente occidentale”) solo di ciò che è verificabile empiricamente “piuttosto che lasciar infiltrare nell’analisi scientifica dei principi trascendenti (per quanto nobili fossero) che in ultima analisi non sarebbero stati più verificabili di una fiaba”.

Il problema non è quindi il metodo che, come ho detto, è stato utile e per quanto mi riguarda prezioso nel mettere ordine e assumere un ruolo meno passivo nei confronti “di ciò che è più grande di noi”, ma ciò che ne è conseguito in termini di forma mentis collettiva e di controllo sociale: porsi in una condizione di critica e analisi continua, formulando ipotesi e verificandole, è costoso in termini cognitivi.

Ed ecco quindi che è più comodo, economico, rassicurante individuare una autorità a cui appellarsi per dirimere i dubbi angoscianti. E che questa autorità sia la Chiesa, la Scienza, la Dottrina iniziatica, la setta religiosa, la psico-setta, gli urlatori profeti di tempi bui, il partito poco importa. Per coloro che cercano un modo veloce ed economico per mettere ordine nel caos dell’imprevedibile angosciante, è ininfluente.

Alla base siamo di fronte allo stesso atteggiamento acritico (salvo eccezioni) che sposa una posizione e demonizza l’altra. E avremo quindi l’elezione di maestri, saggi,  profeti, salvatori, sapienti, inquisitori, censori, ribelli, risvegliati, che leggeranno per noi la realtà, che ci faranno sentire parte di una comunità unita, che ci diranno cosa è bene pensare e cosa no,  per cosa scandalizzarci, per quale causa votarsi, per chi partire in guerra, per chi morire…

Lo sappiamo bene, lo abbiamo visto infinite volte nel corso della storia: di fronte alla pressione della vita, fatta di sfide quotidiane e paure ancestrali, non è possibile sapere tutto. La mole di informazioni che arrivano ci fanno capire sempre con maggior enfasi che non possiamo sapere tutto (e questo è la lezione che possiamo imparare da Plutone Acquario e dal transito imminente di Urano in Gemelli), che le nozioni sono troppe, che forse formarsi una propria idea non è possibile, specie in materie tecniche e specialistiche.

E posso assicurarvi che parallelamente ai vari virologi che si insultano sulla natura e pericolosità dei milioni di virus che diventano famosi (i virus, non i virologi), cercando una strada sicura e affermando tutto e il contrario di tutto, allo stesso modo ci sono astrologi/esoteristi/iniziati che si insultano sull’utilizzo e modernizzazione delle varie tecniche e sull’applicazione dei principi affermando tutto e il contrario di tutto. Entrambi gli schieramenti, i promotori di facciata del razionale e dell’irrazionale, si dimenticano però il centro di gravità permanente, il centro di ogni valutazione, quello che noi astrologi vediamo riflesso nel Sole, simbolo di individualità e individuazione: l’io.

Credere o non credere?

Fidarsi ciecamente delle autorità re-ligiose è rischioso, fidarsi ciecamente delle autorità scientifiche (lo abbiamo visto) è rischioso.
Fidarsi ciecamente è rischioso.
E non perché la re-ligio o la scienza siano pericolose in quanto tali, ma perché attualmente, per degli errori commessi, alle persone mancano gli strumenti di valutazione dei dibattiti in corso, manca la possibilità di creare uno zoccolo duro di cultura, che è anche quella dell’Anima.

Manca il tempo e la cura per permettersi di crescere ed esplorare e questo soprattutto nell’infanzia con delle generazioni che vedranno le prime interazioni solo con macchine e intelligenze artificiali.

E adesso arriva il bello. Accanto ai deliri iper-razionali di quella che dovrebbe rappresentare una forma di intellighenzia scientifica abbiamo quindi anche i deliri profetici di chi usa in maniera strumentale la pratica astrologica (e non solo, ahimè) non come strumento di conoscenza-individuazione-liberazione, ma come strumento di controllo e potere.

Vedete differenze?
Io non tante.

E che c’entra l’astrologia?
Che c’entra la scienza?
Sicuramente l’astrologia, in quanto pratica irrazionale (che preferisco definire pre-logica o immaginale) emarginata, parte svantaggiata da secoli di positivismo e materialismo ed è più semplice buttare il bambino con l’acqua sporca. Ma alla base, in entrambi i casi, abbiamo qualcosa di simile: la presenza di persone autoritarie (non autorevoli) che, approfittando della confusione, trattano la massa come fossero bambini: infantilizzare è la strada maestra per controllare.

Che bel paradosso rispetto alla dichiarazione iniziale di voler liberare l’umanità dalle superstizioni e dalla visione semplicistica infantile, vero?
Ecco allo che dichiaro di volerti “salvare”, ma nello stesso momento ti spaventerò, ti dirò che non c’è speranza alcuna a meno che tu non faccia quello che l’autorità ti dice di fare, ti lascerò intendere anche che l’unica libertà che hai è quella di fare il contrario di quello che ti viene detto (proprio come farebbe un/a bambino/a).
Ma attenzione.
Verrai comunque punito: a seconda dell’autorità scelta, ti prospetterò “la morte” atroce tua e dei familiari oppure il distacco dell’anima, la dannazione eterna, la derisione collettiva.

Tutto meno che permetterti di osservare “direttamente” la realtà (e qui mi immagino di vedere il sorriso beffardo di Martin Heidegger), di farci i conti, percepire che è atroce e fa paura, che accadono delle cose che non sono sotto il tuo controllo e che non puoi sapere tutto, che l’accettazione non significa arrendevolezza e che c’è anche un’altra scelta da fare oltre a quella di opporsi.

Ma soprattutto che l’essere umano è arrivato qui, arrancando, anche grazie alla sua capacità di trovare delle soluzioni alle sfide dell’esistenza. Non utilizzando solo la razionalità meccanicista, ma rivolgendosi anche (nei momenti di scoramento) a ciò che sgorga dall’interiorità, all’ipotesi di un fine superiore, all’idea di un ordine cosmico, al sogno di una saggezza da scoprire e coltivare individualmente, mettendo anche in discussione ciò che si è ricevuto nel proprio sistema educativo.

È anche grazie all’immaginario, alla narrazione, alla nostra capacità di creare mondi fatti di simboli che siamo sopravvissuti. E non sono i simboli e i miti ad essere colpevoli dell’uso che ne viene fatto, bensì è parte della natura dell’essere umano utilizzare ciò che ha sotto mano per farsi strada nella selva oscura.

Il simbolo, il mito, l’immaginario sono solo la superficie della struttura della mente, la parte visibile della struttura del Pensiero che per noi resta un mistero da sondare ed esplorare. Essi sono parte di quel tessuto metaforico che copre o abbellisce il nostro corpo, che lo protegge dalla crudezza dell’ambiente troppo caldo o troppo freddo.

E per sposare pienamente la metafora, perché mai dovrebbe essere più “valoroso” girare nudi e spogli piuttosto che scegliere una veste fatta di Cielo e di stelle?

Grazie di avermi letta fino a qui.

E prima di congedarmi, vi lascio una citazione di un maestro a cui ogni tanto torno, Raimon Panikkar, che scrive:

“Fin dai tempi più antichi, il filo d’oro è il simbolo di un sapere che nasce dall’esperienza personale e che è libero dai condizionamenti istituzionali. È un filo perché rappresenta la continuità di un’esperienza sempre antica e sempre nuova ed è esile perché in ogni generazione questa consapevolezza viene mantenuta da una minoranza di individui. Questo filo è d’oro perché è immortale, rimane sempre anche nei periodi più caotici e oscuri, a volte più apparente, a volte più nascosto.”

 

 

 

 

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Foto di David Menidrey su Unsplash

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